“Il mio approccio con la musica è sempre stato da autodidatta e forse questo mi ha permesso di sviluppare gli anticorpi di cui avrei avuto bisogno in seguito: ho iniziato strimpellando un po’ di tutto, batteria, chitarra, fisarmonica e un piccolo organetto elettrico con 15 tasti, sul quale inventavo le mie “musichette”.
Andai quindi avanti da solo: quella che per me era una passione, per la mia famiglia era solo un fastidioso, inutile passatempo, che i miei genitori speravano passasse presto.
A 13 anni, come capita a tanti, successe qualcosa che avrebbe cambiato radicalmente la mia vita: era estate, ero in vacanza e mi innamorai di una ragazzetta mia coetanea. Ascoltavo in quei giorni, l’unica audio cassetta che avevo, “Io sono nato libero”, un LP del Banco del Mutuo Soccorso: le forti emozioni che la musica mi suscitava si fondevano, in quel periodo, con le nuovissime indescrivibili emozioni che accompagnavano i baci nei campi che traboccavano di odori fantastici di natura e primo amore.
Dopo quell’estate totalmente nuova, suonai per la prima volta in pubblico le mie musiche con il mio gruppo in un cinema/teatro: l’emozione fu indescrivibile e non so proprio come poterla raccontare.
Così ho iniziato a sperimentare davvero la musica, con la mia band.
Due anni dopo, come succede a volte nei film, mi svegliai una mattina e decisi che da quel momento mi sarei messo a studiare la musica seriamente; così iniziai a lavorare nelle celle frigorifere di Aprilia a caricare i camion, per pagarmi delle lezioni di musica, ben attento a non farmi male alle mani, le uniche cose, le mie grosse mani, nelle quali ormai confidavo per andare via presto da quella casa, dove la musica sembrava dare solo fastidio.
La mia ragazza di allora, poverina, era costretta a venire a casa mia per interi pomeriggi: mentre studiavo, lei faceva altre cose e ascoltava. Suo padre decise di comprare un pianoforte per invogliarmi ad andare a studiare a casa di lei: fu facilissimo convincermi…. io il pianoforte non lo avevo…studiavo con un piano elettrico con sole 5 ottave.
E non si fermò li, forse perché era un pittore di mestiere, aveva nei miei confronti una sorta di solidarietà che si realizza solo tra artisti: così, un paio di anni dopo, avendo saputo che volevo provare ad entrare al conservatorio, volle a tutti i costi farmi incontrare un suo amico, un certo Flavio Benedetti Michelangeli, cugino del più noto Arturo e docente al conservatorio di Santa Cecilia.
Fu uno dei giorni più brutti della mia giovane vita: il docente me ne disse di tutti i colori, mortificandomi brutalmente di fronte alla mia ragazza ed al suo sconcertato padre, che in me credevano moltissimo. Secondo lui, per me con la musica non c’era proprio niente da fare. Non parlai per un paio d’ore, con un groppo alla gola ed un dolore dentro che vi lascio immaginare.
Dovevo fare gli esami di ammissione al conservatorio dopo pochi giorni e in contemporanea avevo l’esame di maturità, per il quale avevo studiato pochissimo proprio per prepararmi meglio all’eventuale ingresso al conservatorio: rischiavo un doppio fallimento, niente maturità, niente conservatorio.
E invece, riuscii a superare la maturità ed entrai al conservatorio con il massimo dei voti, sia al corso di pianoforte che a quello di composizione e, successivamente, anche al corso di musica elettronica.
Sarebbe bellissimo riuscire a trasmettervi la mia sensazione di quel momento, ma le parole non basterebbero; posso solo raccontarvi di quel bel pomeriggio in cui io, la mia ragazza ed il suo padre artista, ci sedemmo tutti e tre davanti al telefono e, messo in viva voce, ascoltai la musica della voce del pittore che comunicava a Michelangeli il mio ingresso al conservatorio; mentre io fumavo con gusto uno splendido sigaro cubano, il docente rispondeva gracchiando qualcosa che non mi interessava più sentire.
Che sarebbe oggi di me se avessi creduto a Benedetti Michelangeli?
Quanti Benedetti Michelangeli ci sono in giro?
Quante passioni e quante vite possono rovinare costoro?
Ho avuto i sette anni successivi di studio in conservatorio per capirlo; sette anni in cui non ho smesso di chiedermi se quella cosa di cui parlavano i miei insegnanti, tutto quel dividere in compartimenti stagni, specialistici e frammentati, fosse veramente la musica, quella cosa che, al di fuori del conservatorio, facevo tutti i giorni e mi dava la pelle d’oca, mentre lì dentro, tutto sapeva di polvere, tutto sapeva di vecchio.
Un’eccezione, il mio primo insegnante di composizione, uno studente che a sua volta, stava facendo una supplenza.
Alla prima lezione mi chiese:
“Perché vuoi studiare composizione?”
Io risposi:
“Perché ho delle idee ma non ho la tecnica per svilupparle adeguatamente.”
Lui replicò, sorridendo:
“Allora hai scelto il posto sbagliato.”
Non so perché, ma sorrisi anch’io; quel ragazzo mi ispirava fiducia e mi piacque quella risposta.
L’ho capita solo anni dopo, quando ho compreso che non esiste una scuola che ti possa dare una patente di compositore: esistono o non esistono le tue opere.
E quel ragazzo insegnante, quella splendida onesta e umile persona, si presentò da me 10 anni dopo chiedendomi di insegnargli a comporre la musica moderna con la quale mi guadagnavo ormai da vivere: potevo essere il maestro del mio maestro solo perché avevo imparato cose che non si potevano studiare da nessuna parte, si potevano imparare solo facendole.
Intanto era sempre più chiaro che, per comporre, la tecnica è solo un ovvio supporto, perché ti rendi conto, quando la musica la devi fare concretamente ogni giorno anche per lavoro, che si deve partire comunque da un’idea, parola che non esiste in alcun trattato di composizione, perché si crede, senza pensare, che le idee siano un dono divino: nessuno se ne occupa perché si crede che “le hai o non le hai”. Questo è falso.
La creatività è di tutti gli esseri umani e me lo ha fatto capire bene un altro fondamentale incontro di qualche anno dopo, quello con il Prof. Fagioli e la sua Teoria della nascita e la ricerca dell’analisi collettiva, che parla chiaramente della derivazione biologica del pensiero umano e quindi della fantasia. Non c’è alcuna scintilla divina, ma solo esseri umani più o meno creativi e capaci di rappresentare.
Bisogna quindi imparare ad ascoltare, ma anche questa parola è sconosciuta in certi ambienti didattici. Insieme a tante mistificazioni c’erano infatti tante verità: i milioni di pagine di musica scritta dai compositori, i veri libri sui quali studiare, migliaia di dischi da ascoltare, tanta gente che inventava e suonava la musica. Sono queste le fonti della vera conoscenza.
“Per divenire un musicista della mia epoca, dovevo dunque cavarmela da solo…”
(Tony Carnevale)
Dal 1978 al 1985, Tony Carnevale studia presso il Conservatorio A. Casella dell’Aquila Composizione sotto la guida di Paolo Giuliani, Giampaolo Chiti, Alessandro Sbordoni e Giancarlo Bizzi, Musica elettronica con Michelangelo Lupone, Pianoforte principale con Ketty Spagnoli e Luciana Ricotti, nonché Direzione di Coro con Giorgio Kirschner. Partecipa anche alle lezioni di Direzione d’Orchestra tenute da Nicola Samale.
Il 14 luglio 1985 consegue il Diploma di Musica Corale e Direzione di Coro presso il Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze.
Nel 1985 e nel 1987, Tony consegue l’abilitazione all’insegnamento musicale per le scuole medie, qualificandosi al secondo posto, e per le scuole secondarie superiori, qualificandosi al primo posto.
Nel frattempo inizia l’attività concertistica:
“Difficile imbattersi in un artista complesso e indecifrabile come Tony Carnevale, proveniente dall’universo classico ma con una passionalità ed un approccio musicale anticonvenzionali, inusuali per chi, come lui, possiede un diploma in Musica Corale e Direzione di Coro”
(Metropoli Rock Italia – 02/1993)
Viale Piemonte 47 - Cologno Monzese (Mi)
(+39) 02 94155942